L’ingiustizia dell’ignoranza
L’ingiustizia dell’ignoranza è certamente il più grande dei mali che si possa fare a qualsiasi persona.
Estratto di un intervista del Padre Joseph da Claudine Faure, ottobre 1987.
Qualche tempo fa mi venne chiesto di fare una dedica su un libro di poesie, e come dedica ho scritto: “Sono geloso”. Sono geloso di tutti quelli che hanno potuto, nella loro gioventù, scoprire Beethoven, scoprire Mozart, o altri, per me non è stato mai possibile ed è per questo che durante tutta la mia vita, ho voluto che i bambini imparassero a conoscere l’arte, la poesia, la bellezza. I poveri non sono gelosi dei ricchi per la loro ricchezza. Un bambino mi ha detto: “I ricchi sono talmente oppressi da tutto quelle che hanno che non possono essere che infelici”! Ma credo che sia piuttosto l’ignoranza che li rende gelosi; subiscono e soffrono a causa dell’ignoranza nella quale sono stati tenuti. Tutti quelli con cui ho parlato a lungo e che si sono aperti con me, mi hanno sempre detto la stessa cosa: “A noi non è stato insegnato nulla, siamo degli sciocchi, siamo sciocchi”. Si resta sciocchi e poi ci si chiude nella stupidità.
E’ una cosa molto grave. L’ingiustizia della privazione è spaventosa, ma l’ingiustizia dell’ignoranza è certamente il più grande dei mali che si possa fare a qualsiasi persona. E’ l’ingiustizia estrema perché significa privare le persone della partecipazione alla vita del mondo, alla conoscenza degli esseri, delle cose, degli avvenimenti, di tutto. E’ privare le persone della conoscenza di Dio. E’ spaventoso, spaventoso, spaventoso, è l’ingiustizia estrema, è la più grande ingiustizia.Per questo il Movimento ha sempre insistito con i volontari di lottare, perché i bambini, fin dall’infanzia, ricevano il massimo possibile, perché possano approfittarne e svilupparlo per potersi permettere ,domani, di avere une spirito chiara, un linguaggio comprensibile e, di fatto, sentirsi esistere di fronte agli altri.
Claudine: Mancano di sicurezza?
Padre Joseph: Per forza. Io stesso non ho sicurezza, non lo si direbbe ma sono sempre stato timido, ho sempre l’impressione che l’altro di fronte a me sia superiore, faccia meglio, dica meglio, sappia meglio. E’ fatale che tutta la vita delle famiglie ne esca per sempre diminuita.
Non si domanda mai consiglio a loro, mai la loro opinione ,anche se li riguarda. Ricordo una mamma che mi diceva: “E’ molto strano, conosco bene i miei bambini e mi vengono tolti. Non mi è stato chiesto dove potrebbero essere messi,. a chi si potrebbero affidare. Non mi è stato chiesto nulla, eppure io li conosco bene”. E’ così : il povero è considerato subito come un ignorante, dunque incapace di esprimere qualsiasi idea. Di conseguenza assisterlo a causa della sua ignoranza, è la cosa peggiore. Nelle prigioni, gli assistenti religiosi mettono in evidenza che una gran parte dei detenuti non sa leggere e scrivere e proviene dal mondo della miseria.
Claudine: La sua azione per i bambini dei quarto mondo è la stessa che per i bambini dei terzo mondo?
Padre Joseph: Penso che per quanta riguarda l’infanzia, gli approcci siano gli stessi. I bambini, qualunque sia il loro paese, qualunque sia la cultura, hanno profondamente in se stessi una sete di giustizia, un bisogno di tenerezza, una curiosità, un bisogno di sapere, di toccare e anche un bisogno di essere compresi e rispettati. Anche nel terzo mondo i bambini più poveri che incontriamo, hanno bisogno di essere accompagnati per quanto riguarda il sapere. Per questo abbiamo creato le biblioteche di strada con dei volontari che vanno nei quartieri con dei libri, per condividere con i bambini il sapere e con il computer per metterlo alla loro portata nelle strade del loro quartiere.
Nel terzo mondo abbiamo creato quelle che chiamiamo biblioteche dei campi. Andiamo con dei libri ovunque ci sia dello spazio. Mettiamo dei cavalletti perché i ragazzi disegnino,portiamo anche dei sussidi didattici creando dei giochi sul posto; la nostra idea è sempre quella di essere il più vicino possibile alla gente. Vi è sempre una folla di ragazzi e ragazze, è straordinario… Un giorno ad Haiti, ho visto un giovane raccontare a dei ragazzi molto incuriositi, in una località isolata, lontana due chilometri di cammino da ogni abitazione, la storia di “Cappuccetto rosso”. Si vedeva spuntare il lupo, era veramente formidabile! Hanno una possibilità fantastica di espressione.
Quei giovani dei terzo mondo riconoscono l’importanza del sapere e lo vogliono comunicare ai loro fratellini, ai loro piccoli amici. Direi che in Occidente siamo sazi. Siamo sazi della scuola, siamo sazi dell’Università, siamo sazi del sapere e non ci rendiamo conta di quale ricchezza tutto ciò rappresenti. Maleauguratamente non abbiamo la passione di trasmettere questo sapere considerandolo a volte come un sapere “borghese”, ma questo è assolutamente ridicolo.Il sapere è universale, non è di nessuna classe, appartiene all’umanità.Si crea una barriera e molti giovani che potrebbero trasmettere il loro sapere agli altri , se lo tengono per loro in modo egoistico ed oltraggioso.
Penso che il sapere sia diventato una banalità,non so come spiegarlo.C’è come una specie di sentimento di disgusto. Quando “sappiamo”, ci riteniamo superiori, non ci rendiamo conto che il sapere l’abbiamo ottenuto perché altri si sono preoccupati di trasmettercelo, vi si sono consumati. Quelli che sono all’università non si rendono sempre conta, ed è molto grave, che in realtà il loro sapere l’hanno ottenuto grazie ai sacrifici imposti agli operai, ai lavoratori,a coloro che non possiedono altro sapere che il loro mestiere e che rappresenta il loro certificato di studi. E’ un’incoscienza e per questo il Movimento cerca di sensibilizzare i giovani. L’ho scoperto nel 1968, durante il movimento di contestazione degli studenti. All’università discutevano notti intere. Vedevo tutti quei giovani così intelligenti, con delle considerevoli possibilità, e mi dicevo:”Stanno perdendo il loro tempo a fare delle discussioni, mentre nei quartieri poveri, ci sono milioni di bambini che non sanno né leggere, né scrivere”. E’ in quel momento che ho ideato “il sapere di strada”, dicendo: bisogna che gli studenti vengano ad insegnare quelle che sanno, quelle che hanno imparato e lo condividano con coloro che sfortunatamente non avranno mai la possibilità di andare all’università, che non avranno nemmeno la possibilità di imparare un mestiere, di seguire un corso di formazione. Allora sono andato nei bar, sono andato a discutere con gli studenti, e sono riuscita a convincerne qualcuno che è venuto a raggiungerci. Ma è molto duro.
Volevo che “chi sa, insegni a chi non sa”, è la responsabilità di tutti quelli che sanno. Il sapere di chi sa, gli viene dagli altri , di conseguenza ha l’obbligo di condividerlo con altri. Ha avuto poco grazie a se stesso, l’ha avuto gratuitamente anche se ha fatto un normale necessario sforza. Chi lavora in fabbrica dall’età di 17 anni, ha fatto anche lui uno sforzo e senza la possibilità di avere un giorno nessun diploma, nessuna laurea, nessun dottorato. La “conoscenza” non è un privilegio per alcuni, deve essere un dono per tutti, e quindi “Chi ha deve dare a chi non ha”. E se avessimo messo gli studenti a contatto con la miseria, con gli ambienti più popolari, con le persone che soffrono, se avessimo indicato loro quello che potevano fare? Se gli studenti avessero messo le loro manifestazioni al servizio dei poveri e se fossero andati in tutte le cités della regione parigina per manifestare facendo delle biblioteche di strada, portando i loro computers e i loro alambicchi come fanno alcuni volontari, ebbene pensa che quelle manifestazioni avrebbero avuto un senso; credo che l’insieme degli ambienti popolari dei lavoratori , delle persone che vivono miseramente tra le difficoltà, sarebbero stati totalmente d’accordo.Li avrebbero sostenuti, perché avrebbero scoperto che tra università e il monda dei poveri e della miseria, non c’è un fossato: è veramente la stessa umanità che si batte per la stessa causa, quella della libertà, quella del rispetto degli uni e degli altri.